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Inferno e paradiso

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Immagine di "icheinfach" da Pixabay Un boato irruppe nell’aria, impregnandola per un attimo di ioni, e una carica elettrostatica si diffuse rapidamente, scemando in pochi istanti. Dan sbuffò e sollevò il bavero del soprabito di pelle, che la faceva sembrare un’ombra in quel che restava della via principale della città. I capelli corvini le sfioravano le spalle, ricadendo davanti il viso, coprendolo per una buona metà, lasciando in mostra solo il lato destro. La pelle chiara creava un contrasto evidente nella figura che avanzava con passo sicuro e senza alcuna fretta, incurante di calpestare i resti della distruzione ancora sparsi in giro, con una leggerezza che la rendeva silenziosa come un gatto. Sembrava non accorgersi neppure dei calcinacci e i rottami metallici, con lo sguardo freddo e tagliente puntato dritto avanti a sé, il cui colore richiamava il cielo nelle sue giornate migliori: un grigio glaciale. Non era quello il caso, dato che sopra la sua testa svetta

La solitudine dell'uno

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Foto di  Engin_Akyurt Aveva sempre detestato i cambiamenti , persino le sorprese tendevano a irritarlo ed era così da quando aveva diciassette anni. La prima brutta sorpresa fu beccare il suo migliore amico a farsi la sua ragazza. Il primo cambiamento: scoprire che il suo migliore amico si scopava la sua ragazza sentendone i pensieri. Uno schifo. L'acido gli aveva graffiato la gola, seguito dal senso di nausea nell'apprendere di essere considerato un coglione, a cui era divertente farla sotto il naso per gioco, niente di più. Quei pensieri gli rimbombarono nella testa per ore, insieme a mille altri non suoi, che erano rimasti imbrigliati in una rete intessuta di rabbia e apatia. Non capiva, non a quel tempo almeno. Il pomeriggio, invece di dedicarsi alla traduzione di latino, che Marco gli avrebbe chiesto di copiare la mattina seguente come d'abitudine, li raggiunse sull'argine e restò a fissarli fino a quando non si accorsero di lui. Non una parola,

Atto d'amore

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Immagine di "jplenio" da Pixabay Lo stridio delle gomme, un rumore secco e un frastuono assordante. L’airbag che le esplose davanti alla faccia era l’unica cosa che riusciva a ricordare chiaramente, la prima ad aver assalito la sua memoria non appena riprese i sensi in ospedale. Con gli occhi aveva scrutato la stanza, confusa, senza riuscire a capire dove si trovasse, scorrendo i fili che dal braccio risalivano fino alle flebo. Non poteva parlare, la gola le bruciava e le occorse qualche istante per realizzare di avere un tubo nell’esofago, che le consentiva di respirare. Eva era sola, non riusciva a muoversi, ma sapeva che aveva avuto un incidente. Il pensiero corse subito a Moreno, il suo compagno, che si trovava alla guida dell’auto. Lottò con se stessa, iniziando ad agitarsi nel letto: doveva sapere come stava. Non le importava di stare male, la paura che mordeva feroce  era tutta per lui, inspiegabile forse, tuttavia doveva sincerarsi che stesse bene. La porta

Aria di tempesta

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Immagine di kellepics su Pixabay Lo sciabordio delle onde cullava i suoi pensieri, mentre con un pennarello scarabocchiava il foglio color crema, tracciando segni marroni senza badare al soggetto. Il vento sollevava la sabbia in nubi di polvere , che sembravano cercare disperatamente di raggiungere il cielo fumoso , fuori dalla finestra del soggiorno. Un giorno grigio di metà ottobre, quando ormai i falsi amici di quell’estate avevano fatto ritorno in città e alle loro vite. Cristina, invece, era rimasta nella sua casa, sola, nella nostalgica atmosfera che abbraccia quei luoghi con l’approssimarsi dell’autunno, quando la magia del mare d’inverno riusciva a toccare pochi cuori: il suo lo aveva letteralmente rapito. Il telefono squillò facendola sobbalzare, riportandola alla realtà in modo brusco e indesiderato. «Ciao tesoro,» esordì una voce affabile segnata dall’età «ti disturbo?» «No, nonna, tranquilla. Avevi bisogno di qualcosa?» Sua nonna era forse l’unica persona co

L'attesa

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Foto di Free-Photos da Pixabay " L'attesa del piacere è essa stessa piacere " mi ripetevo sovente davanti allo specchio, sistemando la lunga treccia bionda; un formicolio mi risaliva la schiena, freddo e infido, ma lo scacciavo con due gocce di profumo al gelsomino sul collo, a completare il mio rito scaramantico mattutino. «Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?» cantileno stanca fissando la calce del pavimento. Una risata isterica riecheggia tra i muri spogli e umidi della cantina, ormai non riconosco più neppure la mia voce. Per me il piacere doveva essere l'amore e la sua attesa era una tortura, poi finalmente arrivò e mi fece sentire bellissima, desiderata: una regina. I miei sorrisi e i miei sogni si spensero presto tra le sue mani, tra le sue di brame, che mi restituirono come reame un inferno e di me, oggi, resta solo un accozzaglia di pezzi di cuore sparsi, credo che anche della mia anima restino solo frammenti, scheg

Il Custode

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Il giorno volgeva al termine, il crepuscolo vedeva finalmente la fine degli scontri sulla piana ai piedi del monte sacro e Khaen risaliva il pendio ormai solo. Avevano fermato l’avanzata degli uomini dell’ovest a caro prezzo, ma non importava: tutto ciò che contava era aver protetto il loro tesoro. A quello miravano, ignari che fosse qualcosa che non poteva essere rubato, ma solo profanato e distrutto. Non lo avrebbe mai permesso, aveva prestato fede al suo giuramento e ora si trascinava lungo il pendio a fatica, la spada affondava nel terreno umido sorreggendolo, perché voleva vederlo un’ultima volta. Sollevò lo sguardo, il viso coperto di terra e sangue, quello dei nemici e il proprio, l’occhio destro era gonfio e la palpebra quasi completamente chiusa, con una profonda ferita sulla tempia che non smetteva di sanguinare, tingendo di rosso le rocce sempre più vicine. La morte lo aveva sempre accompagnato e la sentì camminare al suo fianco anche in quell’ultimo viaggio. Sorrise pen

Amici

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L’ aroma intenso del caffè mi sveglia, accompagnato dal fastidioso ticchettio della sveglia: odio gli orologi analogici e il loro rumore. La mano scivola sulle lenzuola di raso , trovando solo il vuoto accanto a me. Un gesto stupido in effetti, ma del tutto automatico. «Bella addormentata, pensi di alzarti?» Sobbalzo al sopraggiungere di quella voce maschile, ironica e suadente al tempo stesso, scattando a sedere sul letto. Lascio scorrere lo sguardo nella stanza vuota e l’angoscia mi assale: i ricordi sono fantasmi spietati. Un brivido mi scuote quando i piedi toccano il pavimento, freddo come il ghiaccio , o come la morte che flebile aleggia intorno a me. Mi trascino ciondolante in cucina chiedendomi perché continuo a indossare questa maledetta camicia cremisi ogni sabato, nemmeno potesse cambiare la realtà. Non è stata una buona idea comprare una macchinetta che prepara il caffè all’ora impostata, credevo mi avrebbe fatto sentire meglio, invece è solo una tortura, l’illu